4 dicembre 2016
di Antimo Verde –
Incontro con Loredana Simioli, attrice napoletana capace di cimentarsi ed esprimersi in qualsiasi forma d’arte e di spettacolo. Affermatasi con il personaggio di Mariarca nella trasmissione televisiva cult degli anni ’90 Telegaribaldi, ha saputo crescere ed evolversi come artista, sino ad arrivare al grande cinema d’autore, riuscendo a calcare il famoso red carpet di Cannes e realizzare così, il suo sogno di bambina. Loredana Simioli rappresenta per il suo percorso artistico e personale un simbolo per la città di Napoli, ma anche un grande esempio di passione, forza e riscatto.
Loredana, hai conquistato la popolarità con il personaggio dell’indimenticabile Mariarca, a chi ti sei ispirata e secondo te perché è ancora così tanto amata?
Mariarca è quella parte che vive in ognuno di noi. Quella parte che non ha paura di niente e di dire ciò che pensa, senza riflettere sulle conseguenze. Rappresenta quel punto che tutti noi vorremmo raggiungere per sentirci più liberi. Ovviamente è stata molto più caricata di passionalità perché rappresenta un personaggio tipico di Napoli, ma Mariarca può esistere anche a Milano. Che ancora oggi sia ricordata e amata è dovuto semplicemente al fatto che i concetti che esprime, di cui io sono autrice, sono sempre attuali.
Ma poi hai dichiarato che “ti ha fatto perdere la testa”…
Una ragazza di 22 anni che ha un tale successo popolare è difficile che non perda la testa. Per fortuna l’ho persa a quella età e non ora. Il successo, la fama ti fanno perdere il vero senso dell’arte, che è molto individuale. Il mio è quello di voler trasmettere agli altri, senza presunzione, qualche soluzione per risolvere una qualunque sua difficoltà.
Dopo l’exploit televisivo, ti sei dedicata al teatro, studiando tra l’altro alla scuola di recitazione di Carlo Croccolo, esprimendoti così, pienamente come artista.
Venendo dal cabaret, il teatro per me è stata una conseguenza naturale. Infatti già mi cimentavo da ragazzina, quando avevo i miei 13 anni, e negli scantinati facevo i miei piccoli spettacoli davanti ai miei compagni di classe delle elementari e sentivo che non potevo fare a meno di esprimermi. E penso che sia questo il senso dell’artista, descrivere l’essenza di quello che vedi intorno, racchiuderlo in tre parole e fare in modo che tutti quanti si possano rivedere.
Tuo fratello, ti ha aiutato nel tuo percorso spronandoti a leggere e studiare. Tra le tue letture, sei rimasta colpita da “La Metamorfosi di Kafka”, anzi hai addirittura confessato che ti ha “illuminato”. In che modo?
La mia famiglia è nata è cresciuta a Secondigliano e certo un’attrice in famiglia non se l’aspettavano. Ho capito che quando siamo chiusi in una mentalità ecco che diventiamo dei scarafaggi. Facciamo cose in automatico con la nostra natura e il nostro ambiente. Mio fratello mi ha fatto ascoltare tutti i generi di musica e leggere moltissimi libri, mi ha trasmesso uno spirito di ricerca e la capacità di capire che siamo noi a cambiare la nostra vita e non rimanere prigionieri dell’ambiente in cui nasciamo e ad essere condannati da quello che pensiamo essere il nostro destino.
Per intraprendere questo mestiere quanto conta, oltre al talento, lo studio e la fortuna?
Tantissimo, soprattutto per chi ha talento, lì c’è bisogno di maggior studio. Quando c’è talento ci deve essere immediatamente lo studio. Il talento a causa dei problemi che si affrontano nella vita quotidiana, può sfumare, invece lo studio si riesce a conservalo e migliorarlo. Prima pensavo che si nasceva fortunati o sfortunati e quindi ci si doveva rassegnare e accontentare. Invece, la vera fortuna è quella di capire che la fortuna ce la costruiamo noi da soli, sforzandosi per arrivare dove si desidera.
Quanto conta essere sinceri con se stessi e con il pubblico?
Dipende come vuoi vivere. Se vuoi scindere la tua vita con l’arte, allora decidi di essere più tecnico e non è detto che non dai emozioni. Dipende da quali corde abbiamo ed è molto individuale. Io personalmente punto molto nel trasmettere la mia forza e passionalità. Ma questo anche nella vita quotidiana. Non capisco proprio certi lavori, tipo rivisitazioni di Shakespeare. Le trovo delle masturbazioni personali del regista. Penso che l’arte debba essere universale e voglio partire da quello. Si deve parlare con semplicità, ad esempio come Mariarca che partiva dalle cose semplici, ed ha avuto successo.
Qual è il ricordo che più ti ha emozionato della tua carriera che porti sempre nel cuore?
Il mio debutto al teatro Palapartenope con il mio primo personaggio Chantal. Un teatro enorme con tanta gente. Ho provato una grande emozione che poi è stata la stessa che ho ritrovata sul red carpet di Cannes e la stessa che ritrovo ogni giorno quando lavoro.
Invece, il momento che più ti ha amareggiato?
Quando avevo 23 anni provenendo dal cabaret mi approcciavo al teatro e gli attori più navigati giocavano sulle mie difficoltà. Io ero presa dall’emozione e dal fatto che era una cosa nuova per me. Un volta in scena dimenticai completamente le battute e girandomi verso il mio collega come per chiedere aiuto lui si girò di spalle aggravando la mia difficoltà. Dopo un minuto partì un applauso enorme dal pubblico e per fortuna in prima fila c’era mia figlia piccola che conoscendo il monologo a memoria, quando provavo a casa, mi suggerì la battuta successiva e riuscii ad andare avanti. Però la cattiveria del collega venne riconosciuta da tutti.
Secondo te i talent show aiutano veramente chi vuole intraprendere una carriera artistica?
I talent possono servire, sono un mezzo, quindi che ben vengano. Ma non può bastare solo quello. Bisogna avere un bagaglio fatto di esperienze e di studio. Io consiglio innanzitutto di non pagare mai nessuno. Chi chiede soldi non sta cercando un attore, ma solo uno che paga. Poi, di capire da subito in cosa si è portati e in quale direzione volere andare. Perciò fare una buona scuola. Sceglierla accuratamente, poiché ci sono troppi cialtroni che insegnano e distruggono tante lavagne bianche. Infine, credere fermamente in quello che si vuole fare e non lasciarsi sviare da chi non crede in te e nel fatto che tu possa vivere solo di arte, ma al contrario ti consiglia di viverlo semplicemente come un hobby. Perciò essere più forte di tutto e tutti.
Il cinema era il tuo grande sogno, e sei riuscita a realizzarlo arrivando ad interpretare addirittura la protagonista del film di Matteo Garrone “Reality” che ti ha dato fama internazionale e facendoti arrivare al Festival di Cannes. Come l’hai vissuta?
Mettendo ordine in casa, ho ritrovato dei fogli su cui avevo scritto dei desideri che volevo realizzare. Avevo un forte desiderio di fare cinema. Un desiderio che avevo scritto nel 1999. Tanto tempo fa! L’ho realizzato e mi sentivo a mio agio, ma rimanendo saldamente con i piedi per terra. Questo è stato per me il mio vero red carpet.
E in quel contesto hai conosciuto star internazionali. Che differenze hai notato tra loro e gli attori di casa nostra?
Non posso dimenticare come ad esempio Claudia Cardinale non si facesse alcun problema di farsi vedere con le pantofole e non se ne faceva nel vedermi senza la messa in piega fatta. Napoli è una città a sé e chi non ha l’allenamento di studiare e di affacciarsi al di fuori del suo ambiente resta un po’ nel provincialismo. Però fortunatamente ci sono molti artisti napoletani, come Carlo Cerciello, lo stesso Matteo Garrone e Fortunato Calvino, che sono meno provinciali.
La tua carriera avrebbe più possibilità di crescita se non fossi rimasta a Napoli?
Non è il luogo, ma dipende tutto da noi. Se non sei davvero determinato e non hai un obiettivo preciso, non conta se sei a Roma o Milano. Io ho fatto “Reality”, uscendo fuori al vicolo di casa mia, incontrando uno sceneggiatore che riconoscendomi mi ha informato che Garrone stava cercando un’attrice per il suo nuovo film. Insomma ero a Via Salvator Rosa, vico delle Nocelle, ero a Napoli.
Però di fatto alcune delle più importanti produzioni cinematografiche si stanno spostando a Napoli..
Sì, ma dobbiamo stare attenti. È vero che stiamo ospitando importanti produzioni, ma dobbiamo evitare il pericolo di farci sfruttare. La voglia di lavorare è tanta qui, però dobbiamo evitare la tendenza di questa città, che è quella di accogliere tutti, farsi succhiare per bene, per poi essere abbandonati.
Cosa auguri a te e a chi fa il tuo lavoro in questa città?
Mi auguro di dimostrare a tutti, ed in particolare alle mie figlie, che con questo lavoro si riesce a vivere e mantenere una famiglia. Invece, spero che a Napoli, il sindaco guardi realmente ogni singolo artista, non dico tutti, perché a Napoli ce ne sono tanti. Ma almeno tutelare quelli più noti, in modo tale che quando si avvia una grossa produzione in città, anche lui possa indicare gli attori a cui dare una reale possibilità di lavoro. Avere perciò una sorta di riconoscimento del merito. Anzi lancio un appello: Meno biciclette e più riconoscimento!