5 dicembre 2019
di Antonella Palumbo –
Gli effetti devastanti dei cambiamenti climatici obbligano milioni di persone, cosiddetti profughi ambientali, ad abbandonare i propri territori. Con una media di 6 milioni di uomini e donne costretti ogni anno a una migrazione forzata, l’Unhcr (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati) ha stimato che nel 2050 saranno 200 milioni.
Al primo posto, tra le cause, c’è il costante innalzamento del livello del mare, che minaccia numerose isole dell’oceano Pacifico e le zone costiere di alcuni stati asiatici.
Seguono poi inondazioni e uragani, che causano, ogni anno, grosse criticità alimentari distruggendo i raccolti.
La figura di profugo ambientale non è però riconosciuta giuridicamente né dalla Convenzione di Ginevra del 1951 né dal Protocollo Supplementare del 1967, di conseguenza non è equiparabile neanche con lo status di rifugiato. Ciò impedisce calcoli precisi sull’intensità del fenomeno.
Soltanto negli anni ottanta i rifugiati ambientali cominciarono ad avere visibilità, così da invogliare lo studio delle cause, naturali o indotte dall’uomo, che costringono ad abbandonare temporaneamente o in via definitiva il proprio territorio.
Norman Myers, uno dei maggiori esperti del fenomeno, cita, come concausa dei processi di declino ambientale, variabili quali la crescita demografica e la condizione di povertà. Se poi associamo siccità, desertificazione, erosione del suolo, deforestazione, ristrettezze idriche e cambiamento climatico, come pure disastri naturali quali cicloni, tempeste e alluvioni, allora si capisce quanto tutto ciò desti attenzione e comporti un’accorta politica di prevenzione.
Ma i cambiamenti climatici non sono un fenomeno recente. In passato hanno decimato popolazioni e causato la scomparsa d’intere civiltà.
L’epidemiologo australiano Anthony Mc Michael, in uno studio su tale tema, ricostruisce il ciclo dei fenomeni climatici killer delle culture del passato, partendo dal “Grande congelamento” avvenuto circa 13 mila anni fa, e durato un millennio, che ha cancellato moltissimi insediamenti umani lungo il Nilo.
È poi nota la scomparsa della civiltà dei Maya a causa di tre siccità, nel periodo tra il 760 e il 920. Sempre un lungo periodo di siccità ha portato alla caduta della dinastia Ming in Cina nel 1600.
Certo è che nessuna epoca ha vissuto cambiamenti climatici improvvisi più della nostra, a causa dei gas serra; ne consegue che variazioni della temperatura anche solo di uno o due gradi, verso l’alto ma anche verso il basso, mettono a rischio la stabilità del territorio e dell’agricoltura, mettendo a repentaglio la salute e la sopravvivenza della popolazione mondiale.