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Pantere nere e KKK, dalla liberazione al terrorismo razziale

23 agosto 2017

di Emanuele Tanzilli –

Sebbene la “diversità” venga, spesso, istintivamente percepita come un elemento di disturbo, estraneo, quasi spaventoso, vi sono delle situazioni estreme che sfociano in veri e propri comportamenti patologici. Il razzismo, per come l’abbiamo introdotto la settimana scorsa, è un malcostume sociale basato su una distorta percezione della diversità, o su vetusti preconcetti radicati nel tempo e difficili da estorcere. Vi sono però anche dei casi-limite, in cui l’atteggiamento di rifiuto ed astio raggiunge picchi di esasperazione che ben poco hanno a che fare con la prevaricazione culturale, distinguendosi semmai come vere e proprie manie di persecuzione, fobie, ossessioni.

È il caso, per ricondurci al periodo storico in cui Martin Luther King visse ed operò, del Black Panther Party e del Ku Klux Klan. Posizioni contrapposte, ideali antipodici, metodologie differenti, ma in comune l’intolleranza e l’odio verso le persone di colore diverso.

Il Partito delle “Pantere Nere” nacque alla fine degli anni ’60 in California, con lo scopo di aiutare la comunità afroamericana nel lungo e travagliato processo di liberazione e riconquista dei propri diritti. Ideologicamente vicini alle crociate di Malcolm X, i suoi militanti, più che la “resistenza non violenta”, propugnavano il concetto di “autodifesa”, e dunque di reazione, anche violenta, a qualsiasi strumento di offesa da parte della comunità bianca.

In particolare, era loro consuetudine praticare delle ronde di pattuglia per vigilare sulle azioni della polizia, con le armi in bella mostra, esercitando così una sorta di pressione psicologica.

Ma il partito si attirò ben presto addosso le ire del governo, che lavorò per disgregarlo fino ad ottenerne la dissoluzione completa già alla fine del decennio.

Diversa è invece la storia del tanto temuto KKK, che nacque nella seconda metà del XIX secolo con lo scopo di aiutare i reduci della guerra di secessione. L’organizzazione prese ben presto una deriva troppo violenta e discriminatoria che costrinse i suoi fondatori a scioglierla.

Fu, poi, durante il periodo a cavallo tra le due guerre mondiali che il KKK tornò in auge sulla scena americana, con i caratteri terroristici che lo hanno contraddistinto fino ad oggi. La propaganda contro le etnie di minoranza – neri, ebrei, ispanici – assunse i connotati di una vera e propria persecuzione. I suoi membri, vestiti di una tunica bianca con un cappuccio a punta, svilupparono numerosi movimenti di estrema destra, questa volta però isolati fra di loro e non organizzati unitariamente, di stampo xenofobo e razzista. Ancora oggi queste sette, ridotte a contare poche migliaia di iscritti, propagandano soprattutto l’odio verso i neri, ma dopo la messa al bando e le raffiche di arresti preferiscono operare ad un livello puramente concettuale.

Il clima di tensione e terrore che si respirava ai tempi di Martin Luther King è, oggi, mitigato da un giusto riconoscimento della parità e dell’uguaglianza di tutti gli uomini fra di loro. Ma gli esempi, non solo positivi, che da quel periodo mutuiamo, e i focolai sparsi di barbarie attivi tutt’ora, ci rammentano che sentimenti negativi come l’odio reciproco e l’intolleranza verso il prossimo non si addicono all’umanità, che sotto l’influenza di tali malevoli forze è stata condotta verso le scelleratezze più gravi che la storia ricordi. E non è tutto… Appuntamento, quindi, alla prossima settimana.

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