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Il sogno infranto del posto fisso

18 settembre 2019

di Antimo Verde – Sarà, forse, per il tema trattato che l’ultimo lavoro di Checco Zalone “Quo Vado” è riuscito a superare ogni record di incassi e a diventare il film più visto di sempre in Italia. Sarà, forse, per la storia del protagonista, che sin da piccolo sogna di avere un posto fisso e che è disposto a tutto pur di mantenerlo, anche a trasferirsi nell’arcipelago delle Svalbard ed essere devastato all’inverno norvegese. Eppure, anche se il tanto agognato posto fisso sembra l’unico modo per poter ottenere tranquillità personale e sicurezza economica, gli italiani non ci credono più.

È il risultato che emerge dalla ricerca dell’ultima edizione del Randstad Workmonitor, secondo operatore mondiale nei servizi per le risorse umane, condotta in 33 Paesi del mondo su un campione di 400 lavoratori di età compresa fra 18 e 65 anni per ogni nazione.

Secondo tale indagine, infatti, in Italia, tre lavoratori su quattro si sono rassegnati all’idea che una carriera lineare portata avanti per tutta la vita lavorativa all’interno della stessa azienda o istituzione non esista più. Una percentuale in linea con la rilevazione globale da cui emerge che la sensazione di instabilità è molto più accentuata nell’Europa meridionale, mentre i lavoratori dei paesi del dell’Europa centro-settentrionale si sentono mediamente più garantiti.

In particolare, sono i dipendenti del Portogallo, della Grecia, della Francia e della Spagna i più rassegnati alla scomparsa del posto fisso, mentre gli occupati della Germania, della Svezia, della Danimarca, della Norvegia e del Lussemburgo hanno molta più fiducia nella possibilità di lavorare a lungo nella stessa impresa. In Italia, la provvisorietà del posto di lavoro, però, è avvertita maggiormente dalle donne e dai lavoratori più maturi, che continuano a sentirsi e ad essere considerati la fascia più debole del mercato del lavoro.

La cognizione della precarietà del lavoro, spinge però, gli italiani ad investire nella formazione continua per restare competitivi, ad accettare una riduzione di stipendio pur di mantenere il posto, o a prendere in considerazione l’idea di emigrare o di trasferirsi temporaneamente all’estero per trovare un impiego non disponibile in Italia. Marco Ceresa, amministratore delegato di Randstad Italia, afferma che oramai gli italiani hanno preso consapevolezza della dinamicità del mercato del lavoro, pertanto, mettono in atto diverse strategie per rispondere alle sfide della flessibilità.

Infatti, senza differenze generazionali o di genere, gli italiani sono fra i primi nel cercare una risposta di tipo propositivo. Ci sono, dunque, lavoratori più combattivi che sentono di aver bisogno di una formazione continua e cercano di migliorare costantemente la propria competitività e altri che sono disposti ad uscire dalla loro zona di comfort ed emigrare per trovare un lavoro non disponibile in Italia.

Un segnale culturale e sociale sicuramente importante che vede i lavoratori italiani adottare un approccio più reattivo che contrasta l’accettazione dell’instabilità del mercato, comunque, rilevata da una parte del campione. In particolare, il 91% degli italiani avverte la necessità di continuare ad aggiornare le proprie competenze per mantenere o migliorare la propria occupabilità, contro l’86% della media globale.

In Europa, soltanto i portoghesi sono più preoccupati per l’inadeguatezza delle proprie competenze, mentre gli svedesi sono i più sicuri delle loro capacità. Tuttavia, non tutti gli italiani rispondono in modo combattivo alle sfide poste dalla flessibilità lavorativa. Alcuni lavoratori preferiscono mettere in pratica strategie di ripiegamento, accettando accordi al ribasso pur di mantenere il posto di lavoro.

L’85% dei lavoratori, ad esempio, accetterebbe un contratto a termine pur di non restare disoccupato, contro una media globale dell’80%, e ben il 44% sarebbe pronto a ridursi lo stipendio o ad accettare un demansionamento per non perdere l’impiego, contro una media globale pari al 42%.

Dalla ricerca emerge anche una diffusa convinzione che in futuro l’offerta di alcuni lavori non potrà essere soddisfatta a causa della carenza di manodopera e per colmare il divario fra domanda e offerta di lavoro, gli italiani, ritengono che sia meglio incentivare la formazione e l’aggiornamento professionale dei disoccupati piuttosto che impegnarsi per attirare lavoratori dall’estero.

Seppure soltanto il 4% sta attivamente cercando un altro lavoro, contro il 39% che non lo cerca affatto, gli italiani risultano sembrano guardare alle opportunità del mercato del lavoro con una maggiore serenità rispetto ad altri momenti. Un segnale positivo che fa sperare in un futuro lavorativo migliore per tutti.

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