21 settembre 2017
di Teresa Beltrano –
Di recente ho rivisto “Disconnect” , film diretto da Henry Alex Rubin, con Jason Bateman, Hope Davis, Frank Grillo, Michael Nyqvist, Paula Patton, che fu presentato al Toronto International Film Festival e fuori concorso alla 69ma Mostra del Cinema di Venezia.
Il film è un ottimo tentativo di accendere i fari e far riflettere, adolescenti e adulti, sulle conseguenze della connessione digitale e sulla dimensione della solitudine che attraversa le vite di ogni personaggio raccontato nella storia, in cui è possibile identificarsi. Una messa a fuoco della manipolazione e sugli inganni della rete.
Le vite dei personaggi, s’intrecciano. Storie di genitori, padri che non riescono a gestire il loro rapporto con i figli, una giovane donna e madre che trova in una chat, un gruppo di sostegno e la possibilità e lo spazio di raccontare il suo dolore, per la perdita della loro bambina, mentre il marito si allontana da lei e si rinchiude nella sua impotenza. La solitudine dell’adolescente che è emarginato, perché “strano” e altriragazzi lasciati soli che utilizzano un falso profilo di un social net work per fare i bulli e portare all’esasperazione l’adolescente introverso, tanto da indurlo al tentato suicidio.
Sia gli adolescenti, sia gli adulti risultano fragili e bisognosi di recuperare rapporti e di riscoprire il bisogno essenziale e principale della famiglia, delle relazioni affettive e del bisogno di comunicare il proprio dolore e le proprie inquietudini, trovando sicurezza e sostegno nei rapporti affettivi.
L’altro aspetto che emerge è la reale e drammatica realtà della prostituzione on line. Ci sono migliaia di videochat hard i cui protagonisti sono minorenni. Il regista mette in evidenza il tentativo da parte di una giornalista televisiva di smascherare questa piaga, ma alla fine non si intravvede nessuna via d’uscita. Giovani lasciati soli, senza adulti, senza famiglie e senza un tetto che si prostituiscono e si ritrovano a non avere altre alternative, perché comunque non c’è nessuna istituzione pronta a intervenire, ad aiutarli seriamente senza nessun interesse.
Non è sufficiente dire a un adolescente di spegnere l’ipad, se non si riesce a parlare con lui, se non si cerca di capire davvero che cosa vive, che cosa sente e se non si tenta di ascoltare anche i suoi silenzi, le sue non risposte e i suoi rifiuti.
Spesso anche gli adulti, trovano nel mondo delle chat una via di fuga, una via di sfogo e di condivisione di sentimenti, paure, desideri … da condividere con estranei. Affrontare la realtà, fatta di persone vere, di volti veri, anche se non molto simpatici, ci costringe a fare i conti con quello che siamo davvero e a non nasconderci dietro un nickname. Imparare a spegnere il cellulare o a disconnettersi con il mondo virtuale, per dialogare con chi ci vive accanto è un modo per imparare a crescere in umanità. Imparare a ascoltare le nostre paure, a fidarci delle persone che conosciamo, a conquistare fiducia da parte dei figli e da parte dei genitori, vale più di mille connessioni con la rete.
Internet apre diverse problematiche tra cui la vera identità delle persone e la truffa e lo sfruttamento sessuale, come evidenzia il film.
La solitudine è una dimensione che ci appartiene come persone e rappresenta anche la possibilità di recuperare la propria identità e lo spazio per riflettere, pensare, valutare e fare spazio all’altro così com’è! Nascondere però questo bisogno dietro la rete e il web, ci isola dalle persone reali rischiando solo di perderci.