
7 Aprile 2011
di Sara Capitanio –
Duecentocinquanta le vittime della tragedia avvenuta la scorsa notte a Lampedusa.
Duecentocinquanta circa i cadaveri che hanno affollato e riempito le acque del Mediterraneo, alle prime luci dell’alba, quando un barcone con sopra trecento o poco più immigrati si è rovesciato al largo dell’isola sicula, ponte tra fuga e sogno, trasformando il nostro mare calmo in un grosso sepolcro vivente.
Solo nell’ultimo mese il numero degli immigranti, aumentato ragionevolmente in seguito ai conflitti del nord-africa, ha fatto registrare picchi notevoli. Negli ultimi giorni di Marzo a Lampedusa ne sono giunti migliaia. E quotidianamente il numero di questi poveri uomini, costretti a fuggire dai massacri in patria, cresce tenendo in allarme l’Europa tutta, l’Italia e in particolare Lampedusa.
La Francia serra i confini. L’Europa fa capire che il problema è tutto nostro. Bossi non li vuole al Nord (“fora di ball” ha dichiarato in settimana il Senatur). Il Sud li accoglie con i suoi Cpa, Cie e Cara (a Crotone si trova il Cara più grande d’Italia, può ospitare fino a 1.500 persone) ma teme di esserne inghiottito.
Scatta così l’emergenza.
Cosa si deve fare? Permessi temporanei? Rimpatri forzati? Cosa. Cosa si deve fare per preservare le coste italiche.
Solo questo importa.
Ma io mi chiedo dove sia finita l’humanitas.
Dove la nostra memoria di emigranti.
La recente strage d’innocenti deve spostare l’occhio di bue dal ‘problema’ ai protagonisti: le donne, gli uomini, i bambini. A loro deve andare il nostro pensiero. A loro e alle loro centinaia di cadaveri anonimi, senza volto, cadaveri che nessuno rivendicherà o piangerà. Miseri corpi inghiottiti dall’oscurità del mare profondo, che hanno avuto la sola colpa di desiderare la ‘sempre più verde erba del vicino’.
È a loro che noi tutti dobbiamo pensare ed è alle loro storie, colme di tragedie, che dobbiamo guardare: uomini martoriati, scampati alle guerriglie e ai conflitti di Mamma Africa attraversando il Sahara, donne violentate e bambini costretti alla fame, caricati come bestiame, per 400 dollari (è questo il prezzo delle loro vite) su barconi di ‘fortuna’. Fortuna sì, perché solo i più fortunati riescono a vedere all’orizzonte le nostre coste, mentre ad altri tocca la morte.
Questa è la vera emergenza. Un emergenza umanitaria che non può e non deve passare inosservata dalla comunità internazionale e che deve portare, noi tutti, ad un’ attenta riflessione sul tipo di società che ci avviamo ad essere, perché “quella presente – come ha dichiarato Mons. Crociata, Segretario Generale della CEI intervenuto alla Commissione Presbiterale Italiana – manifesta paura di fronte allo straniero e chiusura al nuovo e al diverso”.