
4 Maggio 2011
di Sara Capitanio –
Il suo volto trasfigurato ha fatto il giro del mondo.
Prime pagine di giornali e web mostravano con un certo sadismo quel viso stravolto da un colpo di arma da fuoco alla testa.
Alla sua morte hanno brindato in molti.
“Giustizia è stata fatta” ha detto il Presidente degli stati Uniti.
“La sua morte rende il mondo un luogo più sicuro”, hanno dichiarato il presidente della Commissione europea Josè Manuel Barroso e il presidente del Consiglio Ue, Herman Van Rompuy.
A morire, lunedì 2 maggio (data che entrerà nella storia gloriosa dell’Occidente), all’alba, in terra Pakistana, ad Abbottabat, è stato il numero uno di Al Qaeda: Osama bin Lāden. L’uomo simbolo dell’attacco terroristico al cuore americano: quell’11 settembre 2001 che mise in ginocchio l’America e insinuò terrore e insicurezza in quella che era da sempre stata considerata la roccaforte dell’occidente.
Dieci anni da allora. Dieci lunghi anni che hanno visto gli Usa e l’Europa tutta impegnarsi in una guerra contro il terrorismo islamico. Afganistan, Iraq. Guerre mascherate da missioni di pace.
A combattere non erano due eserciti. Ma due ideologie. Bin Laden e i suoi in nome della Jihad. I “nostri” in nome della democrazia.
Dieci lunghi anni e ieri la vittoria più grande: l’uccisione dell’orco.
Reazioni di giubilo hanno seguito l’annuncio.
Gli americani si sono riversati nelle piazze festeggiando e sventolando le loro bandiere a stelle e strisce.
Eccessiva esultanza, forse, nonostante si tratti di un terrorista responsabile di migliaia di morti: “Di fronte alla morte di un uomo, d’altronde – come ha commentato il Vaticano – un cristiano non si rallegra mai”
Perché ieri a morire, è stato un uomo non il terrorismo. Dobbiamo tenerlo ben presente.
E’ stato abbattuto un simbolo.
Ma Al Qaeda resta. L’estremismo islamico resta.