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La parabola in salsa mafiosa de L’immortale

26 dicembre 2019

L’immortale, un nome un programma che rinvia all’evento straordinario e dal sapore religioso, anche chi non si è mai interessato di Gomorra e non conosce le vicende di Ciro di Marzio, il boss di Secondigliano interpretato da Marco D’Amore.

Il racconto inizia con Ciro che sembra voler dare una chiave di lettura agli eventi della sua vita, rimandando ad un insegnamento che, per la fonte, dovrebbe essere cristiano e, infatti, esprime una visione religiosa: “Quando ero piccolo e stavo all’orfanotrofio, lo sai che mi dicevano le suore? Il terremoto è volere di Dio. Fa bene alla terra. Come quando una persona sta male e accumula, accumula, finché o si libera e sfoga … o muore”.

Una lezione per giustificare la perdita della mamma che, però, si estende a tutta la storia. Ciro, a soli 21 giorni, neonato tra le braccia della madre, risorge, per la prima volta, dalle macerie del terremoto del 23 novembre 1980, a soli 21 giorni. Come lo stesso D’Amore spiega in un’intervista, infatti, “c’è una mistica in questo personaggio” che, a quanto pare, nasce il 2 novembre, il giorno dei morti.

Alla prima resurrezione fa eco l’ultima: l’immortale riemerge dalle acque, salvato dal destino, che viene subito tradotto, dal boss don Aniello Pastore, in intervento divino: “Dio ti ha voluto vivo, ti ha dato un’altra possibilità, è un peccato che non la sfrutti”.

Quanta manipolazione o verità ci sia in un’interpretazione del genere non è dato a noi comprenderlo, soprattutto rispetto all’ulteriore possibilità. Oggettivamente più discutibile appare, invece, come viene proposto a Ciro di sfruttarla.

Come ogni film di mafia che si rispetti, non manca la presenza di simboli religiosi, trattandosi, a maggior ragione, di famiglie napoletane che tra crocifissi e santini esprimono, a modo loro, l’appartenenza ad un credo.

Tale impronta diventa suggestiva e rasenta le logiche del cinema parabolico, lì dove, ad esempio, chi si accompagna con il Volto Santo di Gesù è pronto a tradire lui e i suoi compagni.

Non sono da meno i dialoghi che, questa volta, lasciano “battute alla gomorra” più suggestive sul piano educativo: “nella vita c’è sempre la possibilità di scegliere. Il difficile, poi, è tornare indietro”; “le persone come noi, sono condannate a rimanere sole su questa terra”; “per te non ci sarà né pace né perdono su questa terra”.

Il film, nel suo insieme, supera sul piano narrativo la logica della serie Gomorra, ricordando vagamente lo stile dell’omonimo film del 2008, diretto da Matteo Garrone. Questo, a nostro modo di vedere, ne fa una pellicola originale e di agile consumo, attirando l’attenzione dello spettatore più sulla storia raccontata, che sulle esasperate scene di violenza alle quali aveva abituato lo “stile gomorra”.

 

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