30 Dicembre 2025
di Alessandro Grimaldi
Dopo aver commesso l’errore di aver letto qualche recensione su Buen camino, con i compagni di visione si esce dalla sala ricchi di meraviglia per la performance di Checco Zalone, sotto la direzione di Gennaro Nunziante, a nostro modo di vedere, comprensibilmente incompresi da una parte della critica di settore che ha osato paragonare l’opera ad un cinepanettone.
Pur riconoscendo la bontà dei contenuti delle sue proposte, fin da Cado dalle nubi (2009), le modalità comunicative del comico pugliese non ci entusiasmavano più di tanto. Che la “conversione” progredisse lo avevamo colto con Tolo Tolo (2020), ma in questi anni di silenzio il ricordo si era ormai dissolto.
Così, sopravvissuti al deserto e attraversate le acque del mediterraneo, dopo cinque anni, Checco ci fa riprendere il cammino e ci porta per una strada alternativa, capovolgendo le logiche ormai diffuse della comicità a buon mercato. Non è più il contesto a farsi pretesto per l’umorismo all’italiana, ma è il genere comico a riscoprire il suo linguaggio e porsi a elemento strumentale veicolante la neutralità di messaggi apparentemente opposti, spesso considerati politicamente scorretti, soprattutto se pretestuosamente abbandonati alla percezione dell’immaginario collettivo.
Così Cristal scappa di casa, adolescente e quindi alla ricerca del senso della vita, forse confusa o semplicemente bisognosa di attenzioni, intenzionata ad intraprendere un percorso a piedi dai Pirenei a Santiago de Compostela e oltre.
Punto di partenza … la chiesa! Una prima graffiante provocazione, che attraverserà, giustamente, tutto il percorso, proponendo rappresentazioni religiose forse auspicate dall’autore, anche attraverso preti che sembrano versioni umanizzate di specie in via d’estinzione, dove la buona intenzione giustifica i mezzi, soprattutto se accompagnata da colpi di “provvidenza”.
Lungo la strada, invece, la solita contrapposizione della vita, incarnata nelle tante storie diverse dei pellegrini in viaggio e nelle “maschere” locali che, come pastori di un moderno presepe vivente, indicano la strada, ognuno dal punto di vista della propria condizione … barboni compresi.
Protagonisti adulti di questa avventura Checco e Alma, quest’ultima la vera rivelazione che, fedele al suo ruolo, guiderà il cammino, soprattutto interiore, di padre e figlia. Non ci è dato di sapere se la nostra decodifica trova corrispondenza nell’interpretazione autoriale, ma l’associazione all’attuale tempo della Chiesa ci appare verosimile. Il film, uscendo il 25 di dicembre 2025, sembrerebbe porsi volutamente come oggetto di transizione, segnando il passaggio tra il giubileo, ormai giunto a termine, e l’inizio dell’anno francescano, che rilancia il santo d’Assisi in occasione delle celebrazioni per gli ‘800 anni dalla sua morte.
La proposta di Zalone sembra, innanzitutto, dirci che il giubileo è finito, ma il cammino continua, all’insegna di Luce, l’anime proposta come mascotte per quest’anno, pellegrina che si intravede nelle prime scene, ma anche in quella candela che invita a tirare fuori le proprie storie.
Inoltre, questa coppia “perfetta” per dire le storie di Francesco (Checco) e Chiara (Alma) simbolicamente refigurate nei due figli della ricchezza che, rinnegando le loro origini, manifestano forti conflittualità con le rispettive famiglie di provenienza, nel dettaglio con i loro padri, arrivando a dormire con i poveri, in condizioni povere.
Alma è la vera rivelazione, sia sul piano narrativo che artistico, per la cronaca interpretata da Beatriz Arjona, attrice spagnola che ci auguriamo troverà il suo spazio nel cinema italiano. Anche qui il dubbio sulla ricercata adeguatezza del nome ci viene. Troppo indovinato, infatti, “Alma”, di origine latina, che etimologicamente indica “colei che nutre”, come l’Alma Mater, la madre che dà nutrimento alle anime. Questa la missione di un personaggio di spessore, che emerge fin dalle prime battute, ponendosi come mentore indispensabile nel cammino personale e di gruppo.
È Alma, quindi, che riscoprendo progressivamente se stessa, non solo reindirizza lo sguardo della figlia verso il padre e del padre verso la figlia, ma orienta anche il punto di vista dello spettatore verso temi centrali nel dibattito pubblico coinvolgente la società tutta e quindi anche la Chiesa.
Appare così delicatamente annunciato l’amore che non conosce limiti di scena, dove è possibile discernere le proprie intenzioni, per scoprire la falsità dell’apparenza e la profonda latenza delle proprie emozioni.
Così, in più occasioni, quando sembra che sia raggiunto il traguardo, ti rendi conto che la strada continua e che tutto è di passaggio, anche quelle emozioni che sembrerebbero alimentare i sentimenti più stabili, ma che si dissolvono difronte alla necessità di andare oltre … buon cammino.