
22 Novembre 2016
di Antimo Verde –
Premessa
Da quando nel marzo del 2015 l’Arabia Saudita si è posta a capo di una coalizione, composta da 34 Stati sunniti tra cui spiccano Emirati Arabi Uniti, Turchia, Egitto e Pakistan, che è intervenuta militarmente nel conflitto in corso in Yemen, si assiste giornalmente ad una vera e propria carneficina. Attualmente si contano almeno, secondo stime delle Nazioni Unite, 4.125 civili uccisi e oltre 7.200 feriti. Ma l’aspetto che più ci sembra allarmante e che si vuole evidenziare, oltre al fatto che si è intervenuti senza alcun mandato internazionale, è il sospetto utilizzo di armi di fabbricazione italiana.
Armi provenienti dall’Italia
Inconcepibilmente, il Consiglio di sicurezza dell’Onu, con la risoluzione n. 2216 approvata il 14 aprile del 2015, non legittima, né condanna, ma si limita unicamente a prendere atto della richiesta del presidente dello Yemen agli Stati del Consiglio di cooperazione del Golfo, di intervenire con i mezzi necessari, per proteggere lo Yemen e la sua popolazione. Ma quello che più impressiona è il non dichiarato utilizzo di bombe del tipo MK82 che sono prodotte nella fabbrica di Domusnovas in Sardegna dalla Rwm Italia, azienda tedesca del colosso Rheinmetall, che ha la sua sede legale a Ghedi, in provincia di Brescia.
La legislazione internazionale
Seppure in presenza di una precisa normativa che ha esplicitato, tra l’altro, una serie di divieti alle esportazioni di armamenti, come quelli che si vietano verso i paesi in stato di conflitto armato, in contrasto con i principi dell’articolo 51 della Carta dell’Onu, la legge pare non essere, dunque, assolutamente applicata. Specificatamente la legge n. 185 che nel 1990 ha introdotto le norme sul controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento, fortemente voluta da ampi settori della società civile e dell’associazionismo laico e cattolico per contrastare il traffico di armi, stabilisce che le esportazioni di armamenti devono essere conformi alla politica estera e di difesa dell’Italia, che in conformità all’art. 11 della Costituzione, ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. Ha poi introdotto, un sistema di controlli da parte del governo prevedendo specifiche procedure di rilascio delle autorizzazioni prima della vendita e modalità di controllo sulla destinazione finale degli armamenti. Infine, richiede al governo di inviare una dettagliata informazione al parlamento attraverso una relazione annuale predisposta dal Presidente del Consiglio dei Ministri che comprenda le relazioni dei vari ministeri a cui sono affidate diverse competenze in materia di esportazioni di armamenti.
In partenza da Cagliari
Visto che la legislazione ha pienamente svolto il suo compito, non si comprende come sia possibile che possa essere avvenuta, solo nel biennio 2014-15, partendo dall’aeroporto di Cagliari verso l’Arabia Saudita, un’esportazione di un vero arsenale militare, composto da munizioni, bombe, siluri, razzi e missili, apparecchiature per la direzione del tiro, elicotteri, apparecchiature specializzate per l’addestramento militare, esplosivi, con tanto di autorizzazione del Ministero degli Esteri e per un valore complessivo di oltre 478 milioni di euro. Episodio verificatosi sempre con maggiore frequenza negli ultimi mesi. Inverosimilmente, tutto questo non può essere dimostrato appieno, seppure sussista una specifica ed espressa normativa emanata soprattutto per vigilare su ciò, visto che dalle tabelle compilate dal Ministero degli Esteri allegate alla relazione governativa che riportano tutte le singole autorizzazioni rilasciate alle aziende produttrici mancano il nome del paese destinatario.
Una politica internazionale meno confusa e più coscienziosa
Ci si deve domandare allora, perché mai, nonostante l’esistenza di una legge in vigore da oltre 25 anni, che disciplina in maniera minuziosa e dettagliata una materia così delicata e complicata e che prevede, tra l’altro, pesanti sanzioni e/o ammende per i trasgressori, sia così semplicemente violata. Ma soprattutto, per quale motivo vengono rilasciate autorizzazioni che consentono la costruzione di armi utilizzando un’immensa quantità di denaro, quando invece, solo una piccola parte di questo potrebbe essere indirizzata per soddisfare il fabbisogno quotidiano di milioni di persone nel mondo. Un primo passo dovrebbe essere l’affermazione di una politica internazionale meno confusa e più coscienziosa, che superando interessi personali ed economici, porrebbe di certo, un freno ad una sempre più imminente catastrofe umanitaria.