
2 Settembre 2018
Morandi vs Diciotti
Senza entrare nel merito della polemica politica, riprendiamo alcune questioni al momento all’attenzione dell’opinione pubblica, per una breve valutazione dal carattere educativo. Dalle tradizionali testate giornalistiche ai moderni spazi digitali che permettono a tutti di esprimersi, si può prendere atto dell’intreccio, più o meno forzato, degli eventi che caratterizzano l’attualità italiana. Tra le tante immagini rappresentative, segnaliamo, come esempio, la discussa vignetta di Mauro Bani, per il quotidiano “Il Manifesto”.
Eleviamo ad icone due nomi protagonisti della discussione quotidiana: Morandi e Diciotti. Le loro vicende si incontrano e, purtroppo, si scontrano assumendo posizioni concorrenti. Con fare puramente demagogico qualcuno, sui social e non solo, vorrebbe dimostrare che l’approccio diversificato giustificherebbe il detto “due pesi due misure”. Una parte dei cittadini e di chi li rappresenta sarebbe schierato a favore degli stranieri (immigrati), l’altra degli italiani. Se ti preoccupi degli uni, non hai diritto ad interessarti degli altri, o almeno così dimostri.
Rappresentazioni simboliche della realtà
Eppure, volendo spezzare una lancia a favore dei media, cercando di recuperare il bicchiere mezzo pieno, l’aspetto positivo di tale risonanza, filtrata dalle inevitabili scorie politiche, lo ritroviamo proprio nell’attenzione parallela alle due categorie che, ribadiamo, devono essere assunte (e così sembra che si stia procedendo) a luoghi simbolici, per evitare facili distrazioni su altri avvenimenti.
Se si parla di Morandi, quindi, vuol dire che si riflette sulle sorti di decine di famiglie che, a quanto pare, vivevano “sotto il ponte”; della preoccupazione, improvvisamente risvegliata, di sindaci e amministratori locali, circa la condizione delle infrastrutture in Italia; del sostegno alle famiglie che hanno vissuto drammaticamente questa estate, poiché colpite da eventi inattesi (alluvioni, terremoti, incidenti stradali, etc.).
Quando, poi, l’attenzione si sposta sull’altra icona, appunto la Diciotti, ben venga che la discussione, a partire da concrete persone in difficoltà, si allarghi, poi, alla tutela dell’infanzia e dei minori non accompagnati; al supporto alle donne, a quanto pare nella maggior parte dei casi violentate; all’accoglienza del “diverso”, proveniente dall’Africa, dall’Asia e, ultimamente, dall’America latina.
La Chiesa scende in campo
Il paradosso dicotomico arriva all’esasperazione quando, assorbita dal tritacarne mediatico, con una trovata giornalistica degna delle più alte scuole diplomatiche di settore, la questione si dissolve nell’area o, per restare in tema, nel mare.
La sfida dell’accoglienza, che sembra giocarsi tra italiani e stranieri, termina prima ancora del fischio finale, per ritiro della squadra di casa. Si cambia campo e l’agonismo lascia spazio ad un’amichevole tra immigrati e … cattolici?
Un nuovo Stato in Italia?
Gli immigrati della Diciotti, infatti, come si legge sulle migliori testate giornalistiche, per la prima volta dall’inizio della crisi, non sono accolti dall’Italia, ma dalla Chiesa.
Ecco i titoli apparsi su alcuni giornali nazionali:
Chiesa ospiterà gran parte dei migranti della Diciotti (Ansa)
Intesa con Chiesa, Albania e Irlanda per far sbarcare i migranti della Diciotti (La Stampa)
Nave Diciotti, lo sbarco nella notte: Cei, Albania e Irlanda accolgono i profughi (Il Mattino)
Diciotti, sbarcati i migranti. Presi da Albania, Irlanda, CEI (Il Giornale)
Un concetto astratto
In questo caso, lasciateci passare l’espressione che può apparire poco rispettosa, ma “Chiesa” è davvero un concetto astratto! Da chi sono accolti gli stranieri? Dall’Albania, che ricordiamo non essere un Paese dell’Unione Europea, dove la maggior parte della popolazione è di fede islamica; dall’Irlanda, con il 75% di abitanti che professano la fede cattolica; dalla Chiesa, identificata dai più “precisi” con la CEI e/o i vescovi.
Qui, allora, le domande emergono spontanee con tutta la loro retoricità: la Chiesa che accoglie non si trova forse in Italia ed è composta, per lo più, da italiani? Coloro che vengono accolti non vivranno, dunque, su territorio italiano? Fondi, servizi pubblici, risorse umane e materiali non saranno offerte dal nostro Paese?
Un esempio di comunicazione politica
La sensazione, ma resta pur sempre e solo un’ipotesi, è che così, chi necessita di cavalcare l’onda populista per accrescere consensi, con l’ennesima strategia comunicativa pensata a tavolino dai suoi sostenitori, ricorre ai ripari, salvando “capra e cavoli”. Al lettore lasciamo il piacere di collocarsi o di collocare i protagonisti tra le due categorie, quasi a voler rispondere all’ennesimo dilemma esistenziale: meglio essere una capra o un cavolo?