
1 Febbraio 2017
di Chiara Thiébat –
Che cos’è la verità?
Il cammino spirituale dell’uomo è sempre caratterizzato dalla domanda sulla verità. “Che cos’è la verità?” è la domanda che echeggia fin dagli albori della storia del pensiero, la domanda che lo stesso Pilato si pone nel culmine del dramma evangelico di fronte a Cristo che col suo assenso silenzioso sarebbe stato condannato alla crocifissione.
Due posizioni a confronto
Di fronte a questa domanda cruciale si possono assumere molti atteggiamenti: tra coloro che sostengono l’esistenza di una verità assoluta possiamo, anche se in modo necessariamente schematico, distinguere coloro che credono di possedere in modo altrettanto assoluto tale verità e coloro che, invece, pur riconoscendo tale verità assoluta, se ne sentono immersi, sempre superati e calati in un mistero impossibile da contenere.
Se la prima condizione è più comoda, più rassicurante e indubbiamente anche più facile per mantenersi in modo tranquillo ma forse un po’ passivo all’interno dell’ortodossia, presenta anche i gravi pericoli del cedimento al dogmatismo e al fanatismo. La seconda posizione è indubbiamente più rischiosa, esposta al travaglio del dubbio, alla possibilità dello sviamento, ma anche intimamente più autentica e aperta alla scoperta di un mistero, quello della verità nella sua dimensione assoluta, che sempre ci supera e ci apre alla meraviglia.
Le grandi figure contemporanee
Le grandi figure della spiritualità contemporanea, non soltanto cristiana, ci aiutano a porci in questa prospettiva di ascolto e di apertura e possono davvero diventare punti di riferimento illuminanti e segno di speranza nelle nostre vite sempre più dominate dalla destabilizzazione e dall’abisso, a volte davvero nero, della precarietà nella quale si perde l’intuizione di un senso.
Chi era Raimon Panikkar?
Una figura che incarna in pieno la realizzazione di questo tipo di concezione della spiritualità è quella di Raimon Panikkar. Sacerdote, filosofo, docente universitario, uomo di scienza e mistico, Panikkar, scomparso a 91 anni il 26 agosto 2010 nella sua abitazione a Tavertet, sui Pirenei, è un gigante del pensiero contemporaneo che ha spinto la teologia e il dialogo interreligioso su terreni che d’ora in poi non potranno essere ignorati.
Nato a Barcellona nel 1918 da madre spagnola cattolica e da padre indiano hindu di passaporto britannico, trascorre la sua giovinezza tra la Spagna e la Germania per approdare poi a Roma dove instaurò una stretta relazione con Escrivà de Balaguer, fondatore dell’Opus Dei, che lo indirizzo’ al sacerdozio. Con l’Opus mantenne un rapporto ventennale, poi le strade si separarono, ma Panikkar non coltivò mai alcun rancore verso quell’esperienza che considerò sempre estremamente significativa, seppure con alcuni evidenti limiti, per la sua formazione.
Mente brillantissima ottenne a Madrid la laurea in Scienze e il dottorato in Filosofia e la laurea in Teologia presso l’Università Lateranense, di cui fu anche libero docente. Si avviò alla carriera accademica nell’Università di Harvard e di Santa Barbara vivendo per anni tra gli Stati Uniti e l’India e ritirandosi nell’87 ai piedi dei Pirenei dove a Tavertet, minuscolo paese di 75 abitanti, diede vita al centro religioso e interculturale Vivarium vivendo come un monaco immerso nella preghiera e nello studio.
Quando nel 2008 aggiunse alla lunghissima lista di riconoscimenti che già aveva ottenuto la laurea honoris causa all’Università di Girona venne salutato come il più grande pensatore catalano contemporaneo.
L’incontro con l’India
Il genio di Panikkar ha le sue radici nell’originalissimo ambiente famigliare in cui visse e nel quale respirò sempre una profonda armonia tra il padre hindu e la madre cattolica. Fin da giovane sentì la domanda religiosa e metafisica come la questione ineludibile di ogni vita. Fondamentale fu il suo incontro con l’India, terra natale del padre, nella quale si recò per la prima volta soltanto nel 1954 all’età di 36 anni, quando, ormai da tempo sacerdote cattolico, si incardinò nella diocesi di Varanasi, la città sacra dell’induismo. Qui decide di vivere dedicandosi allo studio, alla scrittura, alla preghiera e alla meditazione alloggiando in una piccola stanza sopra un tempio dedicato a Shiva. Definì quegli anni tra i più felici della sua vita. Anni in cui andò alla scoperta delle proprie radici anche nell’esperienza religiosa induista e buddista, senza mai rinnegare la sua appartenenza al cristianesimo. Di enorme importanza in quegli anni fu il sodalizio con i due monaci francesi Jules Monchanin e Henry Le Saux, oltre che con il monaco benedettino inglese Bede Griffiths che furono i pionieri del dialogo cristiano-induista.
Il dialogo con l’induismo
Dare conto del pensiero di Panikkar non è cosa semplice poiché è nello stesso tempo complesso e innovativo. Egli riuscì ad incarnare senza contraddizioni la sapienza occidentale e quella indiana e sicuramente un punto cardine della sua riflessione è costituito dal principio dell’ “advaita”, termine sanscrito che potremmo tradurre con armonia e che si propone di scoprire “l’invariante umano” senza distruggere le diversità culturali che mirano a realizzare la persona in un continuo processo di creazione. Panikkar insisterà spesso sul concetto di “cosmoteandrico” riconoscendo come già nell’induismo si intuisce la triplice dimensione formata da Dio-Uomo-Cosmo. La dimensione trinitaria tipica della concezione cristiana esprimerebbe la più naturale struttura di tutto ciò che esiste. E qui viene facile pensare alla descrizione che Sant’Agostino fa dell’animo umano capace di cogliere la Trinità proprio perché la sua stessa struttura è trinitaria.
Dell’induismo Panikkar sottolineerà anche l’anelito all’unione con Dio, ovvero il desiderio dell’ “atman”, lo spirito individuale di perdersi nel “brhaman”, lo spirito universale. Ciò che si perde, insisteva il teologo, non è affatto la persona, che rimane unica e sommamente realizzata in Dio, ma l’ego dell’individuo. Dalla sua riflessione sul buddismo vennero l’enorme rispetto verso la pratica della ricerca silenziosa e dello svuotamento del proprio animo, pratiche che Panikkar riconosceva nei Padri del deserto della Chiesa delle origini.
Le finestre sull’infinito
Moltissimo ci sarebbe ancora da dire su Raimon Panikkar, ma vale la pena di sottolineare almeno ancora un punto: la sua dedizione al dialogo, a quello che lui chiamava il “dialogo dialogante” che fa riconoscere le differenze, ma anche ciò che si ha in comune, fino a raggiungere una mutua fecondazione. Panikkar spiegava il dialogo interculturale e interreligioso con il paragone della finestra: le nostre appartenenze sono come delle finestre sull’infinito, più il vetro è pulito più noi vediamo chiaramente e meno fissiamo l’attenzione sulla cornice che costituisce la finestra. Anche il nostro vicino vede l’infinito attraverso la sua finestra, che non è uguale alla nostra. Noi possiamo legittimamente dire che attraverso la nostra finestra vediamo altre cose, ma possiamo ascoltare ciò che ci racconta il nostro vicino e questo ascolto potrà fecondare anche la nostra visione.